Speciale Fase2 Coronavirus dal Corriere digital edition

 

 

 

 

                      SPECIALE CORONAVIRUS dal CorriereSera digital Edition

 

LUNEDÌ 4 MAGGIO 2020

     È scattata «la fase 2»: tutto quello che c’è da sapere

Gianluca Mercuri, redazione Digital

Buongiorno. Dunque ci siamo, il giorno tanto atteso è arrivato e quasi non pare vero: da oggi siamo ufficialmente nella «fase 2» della pandemia, quella della ripartenza. Quasi 4 milioni e mezzo di italiani sono tornati a lavorare e tutti possiamo uscire per fare una passeggiata, un giro in bici, una visita ai famosi congiunti. La domanda è una sola: ne abuseremo o sapremo autodisciplinarci? Il sarcasmo di massa sugli affetti stabili produrrà un alibi altrettanto diffuso — «se tutti dicono che è una regola assurda perché devo rispettarla?» — o si capirà che quella formula è fatta così perché sta a noi interpretarla in senso restrittivo, e dunque non esagerare, uscire un po’ di più ma non troppo? Gli articoli che seguono hanno questo filo conduttore: tocca a noi, dipende da noi. Una seconda ondata sarebbe terribile, una terza insopportabile. L’inizio è incoraggiante: Milano, la città più esposta, ha riaperto con «regolarità», una parola che da sempre le sta bene addosso. Cosa deve succedere (e non succedere) per mantenere questa regolarità lo spiega Milena Gabanelli. Intanto, nella notte italiana, Donald Trump ha promesso che il vaccino sarà pronto entro fine anno…

Buona passeggiata, buon lavoro, buona fine di lockdown a tutti, e adelante con juicio (in fondo, per chi si è appena iscritto, spieghiamo ragioni e obiettivi di questa newsletter).

 

Via alla fase 2: dalle fabbriche ai cantieri, ripartono 4,4 milioni di lavoratori

Francesca Basso

 

Ci siamo. Inizia la fase 2 e dopo quasi due mesi di confinamento per 4,4 milioni di italiani si rispalancando le porte di fabbriche, laboratori e uffici. Riprendono la loro attività lavorativa dopo la sospensione decisa dal governo per cercare di contenere la diffusione del coronavirus. La pandemia sta mettendo in ginocchio l’economia italiana e quella mondiale.

Oggi nel nostro Paese ripartono l’attività manifatturiera, il settore delle costruzioni, il commercio all’ingrosso legato ai settori in attività, che vanno da tessile e moda ad automotive e fabbricazione di mobili. Bar e ristoranti potranno riprendere solo con la consegna a domicilio o con l’asporto. Riaprono anche le prime spiagge, quantomeno per consentire agli stabilimenti di avviare i lavori in vista dell’estate. Restano invece sospese le attività commerciali al dettaglio diverse da quelle che erano già state autorizzate: c’è chi aveva potuto ripartire col decreto del 25 marzo (le «attività essenziali»). Inoltre già dal 27 aprile avevano cominciato a svolgere le attività propedeutiche alla riapertura le imprese che avrebbero ripreso le attività oggi. E poi ci sono coloro che hanno sempre lavorato in smart working e continueranno a farlo totalmente o parzialmente.

Non sarà comunque un ritorno alla normalità, le aziende dovranno mettere in atto una serie di precauzioni — il protocollo di sicurezza anti contagio — per evitare che il virus riprenda a diffondersi (distanziamento, mascherine, igienizzante per le mani, sanificazione degli ambienti, guanti monouso, misurazione della temperatura prima dell’ingresso in azienda). Tra i sindacati c’è la consapevolezza della criticità del momento. E lo slogan scelto da Cgil, Cisl e Uil per il Primo Maggio è emblematico: «Il lavoro in sicurezza: per costruire il futuro». Il leader della Cgil Maurizio Landini ha però ammonito: «Abbiamo fatto un protocollo per cui si lavora solo se ci sono le condizioni di sicurezza. Oggi è il momento della responsabilità». I grandi gruppi si sono attrezzati per mettere in atto le misure necessarie, più complicato garantire il massimo della sicurezza — teme la Fim Cisl — nelle piccole aziende e in quelle artigianali per motivi sia organizzativi sia di costi.

 

Al Nord da oggi ricominciano a lavorare in 2,773 milioni, di cui oltre un milione solo in Lombardia, secondo i dati della Fondazione studi dei Consulenti del lavoro, che ha calcolato che su 100 lavoratori che rientreranno al lavoro in Italia il 60,7% è attivo nel settore manifatturiero, il 15,1% nelle costruzioni, il 12,7% nel commercio e l’11,4% in altre attività di servizio. Inoltre solo nel 36,6% dei casi, i lavoratori chiamati a riprendere potranno farlo in smart working, la maggioranza (63,4%), per le caratteristiche del proprio lavoro, dovrà farlo in fabbrica o in ufficio, comunque in sede. In Veneto riprendono in 535 mila, in Emilia-Romagna in 478 mila e in Piemonte 427 mila. Al Centro ricominciano in 812 mila, la Toscana ha i maggiori rientri con 323 mila lavoratori seguita dal Lazio con 254 mila. Al Sud riprendono in 822 mila lavoratori, di cui 247 mila in Campania e 203 mila in Puglia. Restano ancora fermi a livello nazionale 2,682 milioni di addetti. La maggior parte di chi ritorna in fabbrica o in ufficio è costituita da uomini (72,2%) di oltre 40 anni. Solo il 48,8% degli under 30 riprenderà a lavorare.

 

Ore 7: riapre Milano. Code in Centrale, tutto regolare su bus e metropolitana

Stefania Chiale, Andrea Galli, Stefano Landi, Pierpaolo Lio

 

Il lunedì di Fase 2 è cominciato in assoluta tranquillità a Milano. Qualche problema, soprattutto per i treni dei pendolari, ma subito risolto. E code in Centrale per la «fuga» al Sud. Regolare e sotto controllo il flusso in metrò e sugli autobus. Nessun affollamento, quindi. E traffico un po’ più intenso — ma senza particolari difficoltà — sulle autostrade e sui principali nodi stradali di Milano. Tutti gli addetti ai lavori segnalano situazioni di assoluta regolarità, almeno nella fascia più critica, quella dell’inizio di mattinata. «Il trasporto pubblico della nostra città. Grazie all’impegno di tutti e dei cittadini, questa mattina tutto ok», ha spiegato l’assessore alla Mobilità del Comune di Milano, Marco Granelli, nel fare un bilancio delle prime ore di ripartenza e della situazione del trasporto pubblico sulla sua pagina Facebook. «Grazie ai milanesi tutti e all’impegno di tutti quelli che hanno lavorato per la ripartenza» (qui l’articolo completo).

 

Con 359 casi al giorno gli ospedali tornerebbero in crisi: le cifre che decideranno il futuro in Lombardia e Veneto

Milena Gabanelli, Andrea Pasqualetto, Simona Ravizza

 

La ripartenza di Milano è il test per la «Fase 2» sull’Italia. Tutti abbiamo capito che, se la drammatica emergenza vissuta nella regione più colpita dal Covid-19 travolgesse davvero la città metropolitana con i suoi oltre 3 milioni di abitanti (cosa finora non avvenuta), le ripercussioni anche economiche potrebbero investire l’intero Paese. È il motivo per cui nella capitale lombarda, più che altrove, nulla da oggi può andare storto. Dataroom è in grado di anticipare gli scenari su cui sta ragionando la task force regionale per monitorare l’evoluzione dell’epidemia e decidere come procedere con le graduali riaperture o, nella peggiore delle ipotesi, ribloccare tutto. La stessa previsione la stanno facendo in Veneto, altro cuore pulsante dell’economia italiana.

 

La mattina del 4 maggio a Milano si rimettono in moto 104 mila attività imprenditoriali e commerciali che fanno tornare in circolazione 339 mila lavoratori. Si aggiungono a quei 1,2 milioni che non si sono mai fermati, perché alle dipendenze di 180 mila aziende rimaste attive per fornire servizi essenziali. Complessivamente le imprese che gravitano sulla città metropolitana sono 306.500. Dunque il livello aperture complessivo sale a oltre il 90%. Poi ci sono i dipendenti degli uffici pubblici che tornano al lavoro e gli spostamenti personali. Le stime di Regione Lombardia, che prendono in considerazione anche i dati della piattaforma Open Innovation, fissano la quota di smart working intorno al 30%. Ci si aspetta che il 20% utilizzi il trasporto pubblico, mentre l’80% mezzi propri.

 

Uno dei nodi centrali è senza dubbio il trasporto pubblico. Sette persone su dieci non dovrebbero prendere il treno pendolare e la metropolitana, altrimenti non è fisicamente possibile garantire la distanza di sicurezza. Qualche ente pubblico, dal Comune alla Procura, ha scaglionato gli orari di ingresso e uscita dall’ufficio. Il Comune ha messo 300 persone a controllare i tornelli della metro, sono disponibili mille bici e monopattini in più, che a fine mese arriveranno a 10.000. Via libera alle auto anche nell’area C e non si paga il parcheggio nelle strisce blu. Nessuno però è in grado di controllare il comportamento del singolo. Quali rischi comporta tutto questo? (qui il «Dataroom» completo).

 

L’autocertificazione ora serve solo per le visite mediche e ai congiunti. Senza dover specificare chi si va a trovare

Fiorenza Sarzanini

 

L’ingresso nella «fase 2» dell’emergenza da coronavirus prevede minori incombenze per i cittadini e dunque maggiore responsabilità. Perché l’autocertificazione servirà soltanto in alcuni casi e la riapertura di uffici e aziende porterà molte più persone in giro. E dunque la circolare diramata ieri dal Viminale sollecita chi effettua i controlli a «valutare i casi con un prudente ed equilibrato apprezzamento» e chi esce a rispettare «il divieto di assembramento». Ma soprattutto riepiloga le regole, ormai note, per contrastare il Covid-19.

 

Il modulo Per andare al lavoro basterà esibire il tesserino o la lettera dell’azienda. Sarà necessario compilarlo per giustificare le visite mediche e quelle ai congiunti indicando il grado di parentela, ma non l’identità della persona che si va a trovare per tutelare la privacy (qui il Pdf da scaricare col nuovo modulo).

 

La mascherina È obbligatorio indossarla — per gli adulti e per i minori dai 6 anni in su — quando non si può mantenere la distanza. Ma anche sui mezzi pubblici, nei negozi e quando si incontrano i congiunti. Devono indossarla anche i lavoratori degli esercizi commerciali, così come i guanti, e gli stessi dispositivi devono essere utilizzati dai clienti che acquistano generi alimentari. Va messa durante i funerali. In alcune regioni come la Lombardia bisogna tenerla anche quando si sta all’aperto.

 

Dispenser Gli erogatori per il disinfettante sono obbligatori all’ingresso di uffici e aziende, nei negozi devono stare vicino alle casse.

 

Fuori regione Ci si può spostare all’interno della regione di residenza. Chi sta fuori può fare rientro presso il proprio domicilio ma poi non potrà tornare indietro, a meno che non abbia motivi di lavoro oppure di salute. In alcune regioni (tra le altre Campania, Molise, Basilicata, Puglia, Sicilia) chi torna deve stare in quarantena per 14 giorni.

 

Seconde case Nel Dpcm sulla «fase 2» non c’è l’espresso divieto di spostarsi nelle seconde case, ma viene specificato che ci si può andare soltanto per interventi di manutenzione. E in generale gli spostamenti sono consentiti soltanto per quattro motivi: lavoro, visite mediche, assoluta urgenza, visite ai congiunti. E dunque non è consentito trasferirsi.

 

Cibo da asporto Pub, ristoranti, gelaterie e pasticcerie sono chiusi al pubblico ma potranno fare servizio a domicilio e consegnare cibo da asporto ma sarà vietato ai clienti consumarlo nel locale o sostare nelle vicinanze.

 

Passeggiate Si può passeggiare non in prossimità della propria abitazione e per andare nei negozi. Bisogna mantenere il distanziamento quando si incrociano altre persone.

 

Parchi e sport I parchi vengono riaperti e si può andare a fare attività motoria purché si mantenga il distanziamento di due metri. Rimangono invece chiuse le aree giochi per bambini. Si può andare in bici e allenarsi individualmente anche nei centri sportivi. Ci si deve allenare da soli anche se si fa parte di una squadra.

 

Scatta la fuga al Sud di chi era rimasto «prigioniero»: in migliaia in viaggio dopo l’ok del governo

Fabrizio Caccia

 

È tutto pronto per la fuga al Sud. Tra oggi e domani risultano già 1.500 i posti prenotati sui pochi treni rimasti per la Campania: 373 passeggeri sul Milano-Napoli di oggi delle 13.06, altri 420 sul treno da Torino delle 16.35. E ancora: non figurano più posti disponibili sull’unica Freccia in viaggio per la Puglia, il Roma-Lecce. Sold out per tutta la settimana anche il collegamento Milano-Bari con l’autobus notturno (33 posti) della ditta Marino e dal 7 al 17 tutto esaurito anche sul volo Easy Jet Milano-Bari, perché in fondo, come ama dire il governatore Michele Emiliano, «Milano è la seconda città della Puglia, con 200 mila pugliesi che ci abitano».

 

E sono 850 i calabresi, in prevalenza giovani tra i 19 e i 35 anni, che hanno comunicato il loro arrivo per oggi, 4 maggio, primo giorno della fase 2, registrandosi sul sito della Regione. Domani, altri 601. Insomma, finito il lockdown, il governo ora autorizza anche «il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza». E l’effetto è questo: migliaia di persone, rimaste «prigioniere» al Nord per oltre un mese e mezzo dopo lo scoppio dell’epidemia, si metteranno in viaggio con ogni mezzo per raggiungere le famiglie al Sud, anche perché le varie regioni d’appartenenza malgrado i proclami bellicosi alla fine hanno pensato bene di non chiudere i confini.

 

Ma il Viminale, alla vigilia, è stato chiaro: nella circolare inviata ieri ai prefetti, dopo aver ribadito il vecchio divieto «per tutte le persone fisiche di spostarsi in una regione diversa rispetto a quella in cui si trovano, salvo che per esigenze lavorative, di assoluta urgenza o per motivi di salute», ha ricordato che adesso è permesso pure il ritorno presso il domicilio. Attenzione, però: una «volta che si sia fatto rientro — avverte il ministero dell’Interno — non saranno più consentiti spostamenti al di fuori dei confini della regione in cui ci si trova, qualora non ricorra uno dei motivi sopra indicati». Tradotto: chi torna a casa ci resta (qui l’articolo completo).

 

Trump: «Il vaccino sarà pronto entro l’anno». Gli americani lo faranno con gli svizzeri, ma controlleranno tutto

Giuseppe Sarcina

 

Parola di Trump: vaccino entro l’anno. Donald Trump avverte: «I dottori non vorrebbero che io lo dicessi». Ma lui, naturalmente, non si tiene e nella town hall organizzata da Fox News nel Memorial di Abraham Lincoln, proprio ai piedi del Grande Presidente, annuncia. «Avremo il vaccino entro l’anno, ne sono convinto». Trump lo ripete diverse volte, probabilmente per bilanciare l’altra notizia, cattiva questa volta: «I morti potrebbero essere anche centomila». Pochi giorni fa aveva affermato, invece, che non sarebbero andati oltre i 70 mila, cifra che purtroppo sarà raggiunta oggi.

 

Sul vaccino, scienziati e aziende americane stanno davvero forzando i tempi. Il National Institute of Allergy and Infectious Diseases, guidato da Anthony Fauci, sta seguendo diversi progetti promettenti. Quello in fase più avanzata è sviluppato dalla società Moderna, base a Cambridge in Massachusetts, che lunedì 27 aprile è passata alla Fase 2: i test su centinaia di volontari. Il problema adesso è chi produrrà per primo la formula anti Covid-19. Trump ha assicurato che non «gli interessa» e che «è pronto a collaborare con tutti i Paesi».

 

Ci sono, però, passaggi industriali e tecnologici complessi. Moderna ha appena stretto un accordo con una multinazionale svizzera, la Lonza Group. Il contratto prevede una collaborazione di 10 anni. L’obiettivo è confezionare circa un miliardo di dosi all’anno. Attenzione, però, il primo lotto sperimentale sarà preparato già tra giugno e luglio, ma negli impianti americani della società elvetica. Gli americani, quindi, al di là delle parole di Trump, sono ben attenti a controllare non solo lo stadio della ricerca, ma anche quello della produzione, cioè del momento decisivo e di fondamentale valore strategico. Peccato che questa volta l’alleanza tra Stati Uniti e Paesi europei non abbia funzionato.

 

La politica cambierà? Per ora è un’illusione

Luciano Fontana

 

Abbiamo assistito nelle ultime settimane a un crescendo di polemiche che ci ha tolto ogni illusione. Avevamo sperato che la politica italiana potesse cambiare, che uno spirito di responsabilità nazionale prendesse finalmente il posto delle vecchie abitudini. Non è stato così.

 

Le colpe vanno ugualmente distribuite tra gran parte della maggioranza e dell’opposizione. Il premier Giuseppe Conte poteva evitare le tante scelte solitarie, a volte comunicate in modo confuso. I leader dell’opposizione (con l’eccezione di Silvio Berlusconi sul fronte della trattativa con l’Europa) sembrano tornati sulle barricate a coltivare la propaganda. Tutti, nei due schieramenti, con lo sguardo rivolto alla presunta popolarità delle loro scelte. Sono riusciti così a passare, senza alcuna coerenza, dalla richiesta di misure dure di chiusura all’invocazione di un pericoloso «liberi tutti». Con l’aggiunta di una conflittualità perenne con altri importanti protagonisti della scena politica come i governatori regionali.

 

Affrontare una fase così delicata in queste condizioni è impossibile: se ne è reso conto, ad esempio, il segretario del Pd Nicola Zingaretti. Pensare a un nuovo governo nel pieno di un’emergenza mondiale è irrealistico e rischioso. Due elementi sono però certi: la crisi sanitaria durerà ancora a lungo (ameno fino alla scoperta di una cura o di un vaccino) e altrettanto a lungo durerà la crisi economica con tantissime imprese che rischiano di sparire. E allora è troppo chiedere che la politica abbandoni le ricette illusorie? Che scatti un’unità vera tra le forze politiche sotto il segno della responsabilità nei confronti degli italiani e del loro destino?

 

(Risposta al lettore Luigi Bonanate; qui le lettere al Direttore)

 

Il Paese alla prova di civiltà

Monica Guerzoni, Fiorenza Sarzanini

 

E adesso tocca a noi. A noi cittadini italiani, che da oggi 4 maggio 2020 ci riprendiamo un pezzo della nostra libertà. A noi che torniamo in azienda, in ufficio, al parco, che saliamo sull’autobus o in metropolitana, che abbiamo voglia di dimenticare e fretta di tornare alle nostre vite di prima. Per quasi due mesi siamo rimasti in casa, abbiamo rispettato le regole, cantato l’inno nazionale e il «nessun dorma» dai balconi, sperato che il nostro sforzo collettivo potesse sconfiggere il nemico.

 

Dopo due mesi di battaglia, di paura, di lutti, il virus è ancora con noi e lo stato di emergenza non è finito, ma grazie ai sacrifici di tutti oggi comincia la tanto attesa fase 2. È un’altra storia, di cui ciascuno è protagonista assoluto. Una pagina nuova, di cui ognuno può e deve scrivere un paragrafo: mantenendo le distanze di sicurezza, indossando le mascherine, evitando gli assembramenti e le uscite immotivate. Più virtuosi saranno i nostri comportamenti e prima, ce lo auguriamo tutti, il Covid-19 abbasserà la guardia.

 

Il nemico è lui, non sono gli altri. Il nemico siamo noi, ogni volta che ci verrà la tentazione di bruciare le distanze, sfidando la nostra sorte e quella del vicino. E speriamo che le immagini dell’ultimo weekend, con i marciapiedi affollati di gente, non siano la prova che non siamo ancora pronti a lasciare la fase 1 per entrare nella «fase della responsabilità individuale».

 

Abbiamo tutti voglia di tornare, per quanto possibile, alla nostra «normalità». Ma la memoria di queste settimane terribili, con i caschi delle terapie intensive e la sfilata delle bare di Bergamo, può e deve farci da guida. Gli scienziati non escludono una seconda e persino una terza ondata, che potrebbero mettere di nuovo a dura prova il servizio sanitario e l’esercito di medici e infermieri che si sono battuti per salvare più vite possibile, troppe volte perdendo la propria. Non dimentichiamo, facciamo tesoro. Pretendiamo da chi ci governa, a livello nazionale e regionale, di smetterla con gli annunci, con le fughe in avanti, con gli scontri per la visibilità, con i pasticci giuridici e lessicali (qui l’editoriale completo).

 

L’appello di Conte: «Non dobbiamo sperperare in pochi giorni quello che abbiamo guadagnato faticosamente in 50»

Marco Galluzzo

 

Un appello agli italiani, un appello accorato che cerca di responsabilizzare tutti i cittadini, considerando che a questo punto viene in qualche modo meno la guida del governo e comincia una fase in cui sarà il comportamento dei singoli a fare la differenza: «La ripartenza del Paese è nelle nostre mani — dice al Corriere il presidente del Consiglio Giuseppe Conte —. Tocca a noi decidere se vogliamo che sia risolutiva e definitiva. Se vogliamo evitare dolorosi passi indietro adesso più che mai servono collaborazione, senso di responsabilità, rispetto delle regole da parte di tutti. Non è una fase meno complessa di quella che si sta chiudendo, ma finora la risposta della popolazione è stata molto efficace e confido continui ad esserlo».

 

Tutto è ormai concentrato sulle scelte dei singoli, su come reagiranno gli italiani alla fase 2, alla maggiore libertà, alla possibilità di andare a trovare un congiunto, al fatto che in quasi 4 milioni torneranno al lavoro, al rispetto rigido dei protocolli negli esercizi commerciali. Il ragionamento che Conte fa con il Corriere inverte l’onere della responsabilità, mettendolo anche sulle spalle degli italiani, dei loro comportamenti: «A partire dal 4 maggio i cittadini saranno i veri protagonisti della fase 2. Sino ad ora abbiamo ottenuto buoni risultati con le misure restrittive. Adesso però saremo tutti chiamati ad un surplus di attenzione. Più che a decreti e a ordinanze dobbiamo puntare ai principi di autotutela e di responsabilità: occorrono comportamenti appropriati, infatti, per tutelare sé stessi e senso di responsabilità per proteggere gli altri. Non dobbiamo sperperare in pochi giorni quello che abbiamo faticosamente guadagnato in 50 giorni. Domani comincerà una nuova fase, quella della convivenza con il virus. Sarà una nuova pagina che dovremo scrivere tutti insieme, con fiducia e responsabilità» (qui l’articolo completo).

 

Gli esperti e la fiducia: perché è importante che gli scienziati parlino al pubblico

Alberto Alesina, Francesco Giavazzi

 

In poco più di un decennio il mondo ha subito due choc negativi di dimensioni epocali. Il primo fu l’effetto di un virus che si era sviluppato nel mondo della finanza, il secondo di un virus che si annida nei nostri polmoni. I cittadini hanno diritto di chiedersi: che cosa hanno fatto gli «esperti» per prevedere, evitare e poi aiutare la politica a farci superare queste crisi?

 

È una domanda legittima, cui va data risposta, altrimenti lo scetticismo che si va diffondendo sui risultati della scienza continuerà a produrre fenomeni come i no-vax, un presidente americano che consiglia di bere candeggina e politici che oggi, nel mezzo di una crisi gravissima, propongono di far uscire l’Italia dall’Unione europea e far da soli con una «nuova lira».

 

(…) Oggi leggiamo e ascoltiamo da virologi ed epidemiologi famosi che di virus tipo il Covid-19, derivanti da contatti tra animali e uomo, ce ne sono moltissimi e che era da aspettarsi che prima o poi scoppiasse una pandemia. Ne parlò anche Barack Obama già nel 2014, evidentemente informato e allarmato dagli scienziati della sua amministrazione: poi però non fece abbastanza per preparare gli Stati Uniti. Molti virologi avevano capito, come alcuni economisti prima del 2008, ma anche loro non sono stati ascoltati dalla politica. Cosi come gli economisti, forse anche i virologi potevano alzare un po’ più la voce perché farsi ascoltare dalla politica non è facile. Lo scorso inverno, quando i primi allarmi arrivavano dalla Cina, non ricordiamo di aver visto decine di virologi levare in pubblico segnali di fortissimo allarme e previsioni su ciò che stava accadendo. Così come gli economisti hanno capito tardi ma reagito in fretta alla crisi, speriamo che ora i virologi facciano altrettanto (qui l’editoriale completo).

 

Il risparmio resta tutto sul conto corrente: le famiglie non rischiano più

Giuditta Marvelli

 

Soldi sul conto. Tanti. Il più possibile. Diverse evidenze statistiche dicono che l’eccesso di liquidità a lungo andare è un errore strategico, eppure in Italia (ma anche nel resto dell’Europa continentale) il cash è sempre Re. Se poi arriva la pandemia, c’è la possibilità che diventi Imperatore. L’ultima rilevazione di Wealth Insights, il sondaggio curato da Prometeia e Ipsos che monitora il rapporto degli italiani con le loro ricchezze — condotto tra l’11 e il 18 marzo su un campione rappresentativo di famiglie con più di 25 mila euro di patrimonio finanziario — è illuminante: oggi oltre il 50% degli investitori privati non ha nessuna intenzione di prendersi qualche rischio, in modo da portare a casa un certo tipo di remunerazione.

 

Solo un anno fa era diverso: nel primo trimestre 2019 gli italiani insensibili al dilemma del rischio-rendimento erano parecchi di meno e l’ampiezza del loro patrimonio faceva la differenza. Adesso il partito dello zero (nessun azzardo e nessuna remunerazione, of course) è salito di 10 punti percentuali rispetto al primo trimestre 2019 e addirittura di 21 punti se si considera solo la parte più abbiente del campione, quella che possiede oltre centomila euro. Un anno fa solo il 29% degli over centomila non voleva rischiare nulla, contro il 42% del campione totale. Ora, indipendentemente dalle possibilità, una famiglia su due dice: preferisco stare liquida. Alla fine del triennio, nel 2022, la corsa al cash potrebbe portare 105 miliardi in più su conti e depositi (…)

 

Liquidi e poveri? Non è detto. Nonostante la tempesta per Prometeia la ricchezza investibile degli italiani (calcolata al netto delle partecipazioni azionarie non quotate e dei Tfr lasciati in azienda) è comunque destinata ad aumentare da qui al 2022 di 225 miliardi (+2% circa l’anno), portandosi dai 3.300 miliardi scarsi attuali a 3.500. Circa la metà di questi 225 miliardi aggiuntivi resterà parcheggiata in liquidità, mentre un altro centinaio di miliardi andrà ad aumentare gli asset delle polizze, cambiando un po’ una tendenza storica: gli italiani sono poco assicurati e questo spiega, in parte, l’accumulo di liquidità in chiave difensiva (qui l’articolo completo).

 

Pompeo: «Prove enormi che il virus sia nato nel laboratorio di Wuhan». Le accuse di Trump e dei servizi occidentali

Guido Olimpio

 

«Ci sono numerose prove che il virus arrivi dal laboratorio di Wuhan. La Cina ha fatto di tutto per tenerlo nascosto. Classica operazione di disinformazione comunista. Ma ne risponderanno». Il Segretario di Stato americano Mike Pompeo accusa apertamente il Paese guidato da Xi Jinping di non aver arginato la diffusione mondiale del Covid-19.

 

Ma cosa c’è dietro l’offensiva della Casa Bianca? L’intelligence si mantiene prudente, una buona parte degli scienziati sono scettici oppure attendisti. Attorno molto fumo e un po’ di fuoco.

 

Un documento interno dell’Homeland Security in mano all’Associated Press sostiene che Pechino ha nascosto la gravità della crisi per accumulare materiale medico e prepararsi all’emergenza. Così hanno stoccato tutto quello che era necessario senza però dare l’allarme all’esterno. Il governo avrebbe anche tenuto all’oscuro l’Oms non permettendo una reazione tempestiva. Nelle prossime ore o giorni è possibile che venga diffuso un rapporto ufficiale Usa che raccolga tutti gli aspetti critici.

 

Esiste un secondo report ed è quello citato dal quotidiano australiano Daily Telegraph che ne è venuto in possesso. Sono 15 pagine redatte dagli 007 del patto «Five Eyes», ossia Australia, Usa, Gran Bretagna, Nuova Zelanda e Canada. È piuttosto severo e contiene una serie di punti sulla gestione della crisi da parte della Cina.

 

1) Hanno eliminato/distrutto prove sul Covid.

 

2) Hanno imposto la censura e silenziato testimoni scomodi. Riferimento ad alcuni blogger indipendenti che hanno tentato di raccontare cosa stava succedendo a Wuhan ma anche alla ricercatrice Huang Yan Ling. Ci sono sospetti che possa essere la paziente zero: di lei non si hanno più notizie precise.

 

3) Pechino non ha fornito elementi utili per realizzare il vaccino.

 

4) C’è stata in passato una stretta collaborazione tra centri australiani e quello di Wuhan (stessa cosa con i francesi e americani), da qui la possibilità che qualcosa si trapelato attraverso canali diretti.

 

5) Sull’origine dell’epidemia i servizi alleati sono in disaccordo se sia nata nel laboratorio o nel mercato. È una situazione a dir poco opaca (qui l’articolo completo).

 

Il drammatico racconto di Boris Johnson: «L’annuncio della mia morte era già pronto»

David Wooding

 

(…) Nella prima intervista rilasciata dopo aver rischiato di morire, Boris Johnson rivela di aver consumato «litri e litri» di ossigeno, prima di essere trasferito in terapia intensiva; di come i dottori hanno dovuto affrontare la difficile decisione se collegarlo a un respiratore oppure no, visto che le sue possibilità di farcela erano stimate al «50%»; dei piani specifici elaborati nell’eventualità che si fosse dovuto annunciare il suo decesso alla nazione; di come, malgrado il progressivo aggravarsi delle sue condizioni, non si sia mai rassegnato alla possibilità di morire, e di come ancora oggi non riesca a immaginare come abbiano fatto «gli eroi ammirevoli del servizio sanitario nazionale inglese» a salvargli la vita. Seduto nel suo ufficio al numero 10 di Downing Street, Boris Johnson ha le lacrime agli occhi al ricordo di quelle due settimane drammatiche, durante le quali ha rischiato di perdere la sua vita, riprendendosi appena in tempo per assistere alla nascita di una nuova, quella del suo ultimo figlio, Wilfred (qui l’articolo completo).

 

Perché questa newsletter: un’offerta gratuita per reincontrarci, con la garanzia di qualità del marchio Corriere

Gianluca Mercuri

 

Dal 20 aprile abbiamo cominciato a raccontarvi con questa newsletter quella che — tra continui dubbi e ripensamenti — si annuncia come la «fase 2» della pandemia, ovvero il graduale ritorno a un minimo di normalità nelle nostre vite. Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, troverete una selezione dell’immenso lavoro dei giornalisti del Corriere: la descrizione puntuale delle misure prese dalle varie autorità, il racconto degli scontri e delle convulsioni che spesso caratterizzano il processo decisionale, le analisi economiche, i contributi imprescindibili della redazione Salute, i commenti delle nostre firme che provano a capire in che direzione andiamo nella più drammatica crisi che il nostro Paese vive dal dopoguerra.

 

È uno sforzo notevole, che vi forniamo gratuitamente. Perché il virus, nella disgrazia che comporta, regala un’opportunità sia a noi sia a voi. A noi giornalisti, quella di recuperare la credibilità che agli occhi di molti di voi abbiamo perso negli ultimi anni. A voi lettori, quella tornare a fidarvi di fonti d’informazione attendibili. Siamo entrambi vittime del lato più oscuro di Internet. I giganti tecnologici hanno privato i giornali delle principali risorse economiche, rastrellando la quasi totalità della pubblicità e saccheggiando il nostro lavoro. Il pubblico si è spesso affidato a un circuito informativo alternativo e improvvisato, in cui hanno prosperato le più stolte fake news e i più sofisticati apparati propagandistici.

 

Se il primo obiettivo è dunque reincontrarci, il secondo è convincervi — con trasparenza e con uno stile meno formale possibile — che l’informazione di qualità si paga, o muore. La redazione che cura questa newsletter (oltre a Rassegna stampa e Prima Ora) è composta da tre persone: cinque anni fa, quando è nata, eravamo dieci. La crisi ha decimato staff e risorse. Se troverete errori, è anche per questo: si lavora spesso a tarda sera, senza la rete di protezione dei correttori, e stanchi. Ma faremo di tutto per farvi affezionare, o riaffezionare, al marchio di garanzia del Corriere, al suo sforzo quotidiano di informarvi con equilibrio.

 

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Grazie mille, e a domani!

 

(Nella foto Ansa in apertura, un vagone della metropolitana milanese alla fermata di Cadorna, stamattina)

 

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