Corona Virus il via alla fase 3: tutte le risposte su regole e controlli per chi torna a spostarsi

MOLTO INTERESSANTI QUESTE NOTE E CONSIGLI DAL CORRIERE DELLA SERA

Speciale Coronavirus | la newsletter del Corriere della Sera testata Mercoledì 03 giugno
Redazione Digital Buongiorno.
Speriamo che poco assembrata e molto assennata sia, oggi, la partenza della fase 3 (o 2 e tre quarti, fate voi). Avere la testa alle vacanze non implica mandare in vacanza la testa. Per aiutarvi a tenerla in esercizio, vi proponiamo tutte le domande e risposte su cosa si può o non si può fare da oggi, più tutte le restrizioni imposte dalle diverse Regioni. Fatene tesoro.

Buona lettura e buona fase 3

L’Italia torna a viaggiare: ecco tutte le regole per spostarsi, i controlli e le risposte ai dubbi editorialista Davide Casati A partire dal 3 giugno 2020, in Italia sono caduti i divieti di spostamento tra le Regioni. È anche possibile per i turisti in arrivo dall’Europa arrivare in Italia senza dover osservare periodi di quarantena. A causa dell’emergenza legata alla diffusione del coronavirus, però, restano in vigore alcune norme da rispettare per poter viaggiare nel Paese. Eccole.

Occorrono documenti particolari per spostarsi?
No: si può circolare liberamente, senza più vincoli. Non sono necessarie autocertificazioni.

Occorre scaricare la app Immuni?
La app Immuni – disponibile su App Store e Google Play – non è obbligatoria: ma il governo e le Regioni consigliano di scaricarla per consentire il tracciamento dei contatti e aiutare a prevenire una «seconda ondata».

Quali sono le regole “generali”?
Resta in vigore il distanziamento di almeno un metro; la misura va raddoppiata in caso di attività fisica. Dove non è possibile rispettare questa distanza, e nei luoghi pubblici (dai mezzi pubblici ai negozi), va indossata la mascherina (che in Lombardia va indossata anche all’aperto). Non potremo rifiutarci di sottoporci alla misurazione della temperatura corporea. Non potremo andare in palestra, piscina o da parrucchiere ed estetista senza prenotazione. Non potremo non lasciare il nostro nome ai locali che lo chiederanno. (Qui le cose che non potremo fare)

Come si viaggia su treni e aerei?
Entra in vigore la misurazione obbligatoria della temperatura nelle stazioni dell’alta velocità ferroviaria per tutti i passeggeri dei treni a lunga percorrenza. Nel caso sia superiore ai 37,5 non sarà consentito l’accesso ai treni. A bordo si potrà mangiare con i servizi di ristorazione, ma ci sarà la consegna al posto di alimenti e bevande in confezione sigillata e monodose, da parte di personale dotato di mascherina e guanti. Trenitalia dal 3 giugno fa viaggiare 80 Frecce (c’è anche la nuova tratta Torino-Reggio Calabria), 48 Intercity e 4653 corse regionali al giorno; con Italo si potranno raggiungere anche Bolzano, Trento, Rovereto, Rovigo e Verona. Pienamente operativi 24 aeroporti italiani, quelli principali.

Come ci si sposta in auto?
Se a bordo ci sono persone conviventi, non esistono limiti a quante persone possano stare in auto. Se invece a bordo ci sono persone non conviventi, le norme si fanno più rigide. Occorre portare la mascherina; fare in modo che nei sedili anteriori sia seduto solo il guidatore; fare in modo che nella fila posteriore ci siano al massimo due passeggeri, seduti ai lati opposti del divano posteriore. Se nella fila posteriore siede una sola persona, è bene che si metta dal lato opposto a quello del guidatore. Chi non ha la mascherina – pur portando a bordo persone non conviventi – rischia una sanzione di 533 euro.

Come ci si sposta in moto?
Se si viaggia da soli, non occorre (ma è consigliato, sempre) l’uso della mascherina, se si indossa un casco jet. Se si viaggia in due, è bene (ma non è indicato tra gli obblighi del governo) indossare la mascherina, nel caso si indossi un casco jet, essendo impossibile il distanziamento.

Chi arriva dall’area Schengen è sottoposto a quarantena?
No, dal 3 giugno non saranno piu sottoposte alla quarantena di 14 giorni le persone che entrano o rientrano da Stati dell’area Schengen: 26 Paesi che coprono quasi tutta l’Unione europea, più altri tra i quali Regno Unito, Svizzera e Islanda.

Le regole per andare in Sardegna
I turisti potranno arrivare, via nave o aereo, senza «passaporti sanitari», certificati di negatività o test. Sarà chiesto di misurarsi la temperatura prima di salire in nave o in aereo. Chi arriva in Sardegna dovrà obbligatoriamente registrarsi (sul sito della Regione o attraverso la app Covid 19 Regione Sardegna) e – in modo facoltativo – compilare un questionario nel quale indicherà se è stato in contatto con il virus. Nei giorni scorsi si era parlato di un bonus-voucher per chi, volontariamente, accetta di sottoporsi a un test: al momento non è stato però deciso nulla.

Le regole per andare in Campania
La Campania conserva i controlli alle stazioni, in aeroporto e agli imbarchi. Ai concessionari di servizi di trasporto aereo, ferroviario e di lunga percorrenza su gomma dovrann acquisire i nomi dei viaggiatori con destinazione nel territorio. I viaggiatori in arrivo all’aeroporto di Napoli Capodichino e alle stazioni ferroviarie di Napoli, Afragola, Benevento, Caserta, Salerno, Aversa, Battipaglia, Capaccio-Paestum, Agropoli, Vallo della Lucania e Sapri con treni interregionali dovranno sottoporsi alla rilevazione della temperatura corporea e, in caso di temperatura pari o superiore a 37,5°C, a test rapido ed eventuale tampone. Chi, una volta arrivato, dovesse poi avere sintomi compatibili con il covid, dovrà «avvertire la Asl competente e il proprio medico». Per le isole del Golfo l’ordinanza mantiene, per chi viene da fuori regione o dall’estero, «l’obbligo di imbarcarsi con traghetti di linea – vietati i mezzi da diporto privati – dalle sole stazioni di Napoli Porto di Massa e Pozzuoli; della prenotazione online almeno 24 ore prima della partenza» e «di presentarsi all’imbarco almeno un’ora prima» per consentire i controlli. Per i residenti in Campania invece ok traghetti e aliscafi dalle stazioni di Napoli Porta di Massa, Beverello, Pozzuoli, Castellammare di Stabia e Sorrento.

Le regole per andare in Sicilia
Non ci sono regole particolari per andare in Sicilia: non occorrono patenti o passaporti sanitari. Ai viaggiatori in arrivo sarà consigliato di scaricare l’app Sicilia SiCura, che non vuole sostituire ma affiancare Immuni: attraverso la app in caso di febbre il turista dovrà comunicare il proprio stato di salute per poi essere ricontattato dai medici dell’Asp territorile.

Le regole per andare in Veneto
In Veneto una ordinanza, in vigore fino al 14 giugno, non prevede restrizioni all’arrivo o tracciamenti particolari (fatte salve le prescrizioni generali: con una temperatura sopra i 37,5, ad esempio, non si può viaggiare, come stabilito dal governo). La mascherina è obbligatoria solo nei luoghi chiusi, mentre all’esterno è prevista solo in luoghi affollati e in tutte le occasioni in cui non si riesca ad attuare il distanziamento.

Le regole per andare nel Lazio
Chi arriverà nel Lazio e sarà trovato con una temperatura superiore ai 37,5 gradi sarà sottoposto a tampone obbligatorio nelle strutture della Regione e in attesa dei risultati dovrà rimanere presso il proprio domicilio.

Le regole per andare in Liguria
Non ci sono regole particolari o restrizioni all’arrivo: valgono le prescrizioni nazionali. Con una temperatura sopra i 37,5, ad esempio, non si può viaggiare , come stabilito dal governo.

Le regole per andare in Emilia-Romagna
In Emilia-Romagna non ci sono restrizioni all’arrivo o tracciamenti particolari (fatte salve le prescrizioni generali: con una temperatura sopra i 37,5, ad esempio, non si può viaggiare, come stabilito dal governo). Alle terme e nelle aree comuni occorrerà stare con la mascherina; occorre mantenere il distanziamento sociale se non si è dello stesso nucleo familiare; va mantenuta la distanza interpersonale di almeno un metro tra persone non appartenenti allo stesso nucleo familiare o conviventi; in spiaggia sdraio e lettini saranno disposti a distanza di almeno 1,5 metri l’uno dall’altro. Nel caso di ombrelloni è richiesta una superficie minima ad ombrellone di 12 metri quadrati a paletto. Potrà essere rilevata la temperatura e vietato l’ingresso se sarà superiore a 37,5.

Le regole per andare in Toscana
Non ci sono regole particolari o restrizioni all’arrivo: valgono le prescrizioni nazionali. Con una temperatura sopra i 37,5, ad esempio, non si può viaggiare , come stabilito dal governo.

Le regole per andare in Calabria
Anche per andare in Calabria non ci sono restrizioni particolari: valgono le prescrizioni nazionali. Con una temperatura sopra i 37,5, ad esempio, non si può viaggiare , come stabilito dal governo.

Le regole per andare in Puglia
Chi arriva in Puglia da oggi non potrà più farlo in forma anonima. Turista o cittadino proveniente da un’altra regione o dall’estero per qualsiasi motivo, avrà l’obbligo di segnalarsi compilando un modello che dovrebbe essere presto disponibile sul sito della Regione Puglia, e dichiarando il luogo di provenienza ed il comune in cui soggiornano. Per chi arriva in Puglia c’è anche l’obbligo di conservare «per un periodo di trenta giorni l’elenco dei luoghi visitati e delle persone incontrate durante il soggiorno».

Le regole per andare in Trentino-Alto Adige
Non ci sono limitazioni o controlli particolari, salvo il controllo della temperatura (effettuato su treni e aerei in arrivo, e possibile lungo le strade). Sarà però necessario indossare la mascherina all’aperto, almeno fino al 14 giugno, in provincia di Trento.

(Le informazioni raccolte in questo articolo arrivano dai dorsi locali del Corriere della Sera e dagli articoli di Lorenzo Salvia e Alessandro TrocinoeMonica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini).
Che cosa abbiamo imparato dopo sei mesi di coronavirus (e che cosa ci resta da scoprire) editorialista Cristina Marrone Non è ancora chiaro quando il coronavirus abbia davvero cominciato ad infettare le persone. Le prime informazioni dalla Cina su un nuovo focolaio di una sindrome febbrile associata a polmonite di origine sconosciuta tra gli abitanti di Whuan risalgono al 31 dicembre 2019. L’epidemia comincia a diffondersi in Cina, il mondo, Italia compresa, inizia a blindare i confini. Il nostro paziente 1 è stato registrato il 21 febbraio a Codogno, ma si scoprirà in seguito che almeno 160 persone avevano contratto il coronavirus tra Milano e provincia già a fine gennaio. Addirittura in Francia il primo paziente Covid-19 è stato datato (a posteriori) a fine dicembre mentre il primo ricovero in Cina è datato 1° dicembre 2019.

Quando raccontavamo la catastrofe cinese su tv e giornali nessuno immaginava che il virus già circolasse in Italia e in Europa e che il lockdown sarebbe toccato anche a noi. All’inizio il virus non aveva un nome: l’11 febbraio l’Oms lo ha battezzato Sars-CoV-2 dove «Co»sta per corona, «vi» per virus, «d» per desease (malattia) e 19 ovviamente per l’anno di individuazione.Sono sei mesi ormai che conviviamo con il virus, molti aspetti restano ancora misteriosi e ci vorrà tempo per comprenderli, altri invece abbiamo imparato a conoscerli.

È molto probabile che con questo virus dovremo convivere a lungo, meno probabile che sparisca e torni nel serbatoio animale come è successo con la Sars nel 2003. Sono in corso oltre cento sperimentazioni di diversi gruppi scientifici per la corsa al vaccino ma bisogna essere realisti: difficilmente si arriverà a un vaccino prima di un anno e mezzo perché ci sono una serie di fasi da rispettare per garantirne sicurezza ed efficacia. Molti scienziati sostengono che il virus, proprio perché così contagioso, potrebbe diventare endemico e non scomparire mai, cioé circolerà nella popolazione e dovremo farci i conti ad ogni stagione, come succede con l’influenza e i raffreddori.

Al momento non esiste nessun farmaco specifico per combattere Covid-19 (cosa che renderebbe la malattia meno spaventosa). Non è ancora arrivato il momento di abbandonare le mascherine, almeno nei luoghi chiusi, e il distanziamento sociale perché al momento, in mancanza di cure e vaccini, restano l’unica arma di difesa. È vero che nelle ultime settimane in Italia i contagi sono calati e pochi pazienti finiscono in terapia intensiva. Ma è anche vero che ci sono persone sane che si ammalano gravemente, che alcuni bambini, seppur raramente si ammalano di una malattia simil-Kawasaki. Non si sa come il singolo organismo reagisce alla malattia. Inoltre secondo i dati di Epicentro, circa il 27% di chi ha il virus è asintomatico: queste persone in giro potrebbero infettare in modo inconsapevole altri che, magari più fragili, potrebbero sviluppare la malattia in modo severo.

Ci si chiede quanto è sicuro lavorare in ufficio, prendere i mezzi pubblici, salire su un aereo, se si potrà tornare a scuola o andare al ristorante in sicurezza. Molti studi stanno dimostrando la diffusione del virus per via aerea, anche attraverso le goccioline più piccole emesse parlando o respirando (terza via di contagio non ancora riconosciuta dall’Organizzazione mondiale della Sanità). Per tutti questi motivi dobbiamo ancora mantenere il distanziamento sociale e indossare la mascherina nei luoghi chiusi. In autunno la raccomandazione per tutti è fare il vaccino contro l’influenza per evitare di confondere i sintomi con Covid-19 e intasare i pronto soccorso, nel caso si ripresenti, come molti sostengono, una seconda ondata. (Qui l’articolo completo e qui lo speciale «Coronavirus: la parola alla scienza»)
I documenti segreti dell’Oms: “La Cina ha nascosto i dati” editorialista Davide Casati e Alessandra Muglia Altro che organizzazione filo cinese come l’aveva bollata Trump. Gli elogi pubblici fatti a gennaio dall’Oms a Pechino per la sua trasparenza nella gestione del Covid sarebbero stati in realtà un’operazione diplomatica per assicurarsi più informazioni sull’epidemia, per spronarla a una maggiore collaborazione. Tant’è che per settimane, in privato, i funzionari dell’agenzia Onu si sarebbero invece più volte lamentati per i suoi ritardi, riferisce ora l’Associated Press, citando materiale audio e documenti interni.

Da tempo quindi l’Organizzazione mondiale della sanità sarebbe irritata con Pechino per aver indugiato nel condividere i dati sul genoma – tenuti segreti per oltre una settimana – e sulla capacità di diffusione del nuovo coronavirus: dati che, scrive la AP, sono decisivi per una risposta efficace a livello di test, farmaci e vaccini. Un atteggiamento – motivato, scrive l’agenzia di stampa statunitense, da «un ferreo controllo sull’informazione e dalla competizione interna al sistema sanitario cinese» – che avrebbe ostacolato il lavoro dei funzionari dell’Oms nella prima fase dell’epidemia, dopo la scoperta di casi di polmoniti anomale a Wuhan.

Dal momento in cui il virus venne decodificato per la prima volta, il 2 gennaio, al momento in cui l’Oms dichiarò quella del coronavirus una emergenza mondiale, il 30 gennaio, l’epidemia era già cresciuta di 100-200 volte, secondo quanto dimostrato dai dati del Chinese center for Disease control. (Qui l’articolo completo)
Il virus in Gran Bretagna? “Lo hanno portato italiani e spagnoli” editorialista Luigi Ippolito Il coronavirus in Gran Bretagna? Lo hanno portato gli italiani (e gli spagnoli). Ed è solo con l’arrivo degli «untori» dal Mediterraneo che si spiega la strage da Covid Oltremanica, dove ormai i morti hanno superato quota 50 mila. È questa, in sostanza, la tesi sostenuta davanti alla Camera dei Lord dal professor Neil Ferguson dell’Imperial College di Londra (sì, proprio lui, quello che aveva dovuto lasciare l’incarico di consulente del governo perché beccato a convegno con l’amante in pieno lockdown).

Il triste primato britannico in termini di vittime, secondo il professore, è dovuto al fatto che il virus è arrivato su quelle isole da sorgenti inaspettate: e le analisi hanno rivelato che gran parte dei contagi aveva avuto origine in Italia e Spagna. «Ci stavamo preoccupando della Cina e di altri Paesi asiatici – ha detto Ferguson durante la sua audizione davanti ai Lord – mentre è chiaro che c’erano centinaia se non migliaia di persone infette che arrivavano da Italia e Spagna». Questo spiegherebbe, secondo il professore «perché le cifre della mortalità sono risultate più alte di quanto sperassimo».

In effetti è vero che, rientrando a Londra dall’Italia ai primi di marzo, non si veniva sottoposti a nessun controllo. Ma l’impressione è che qui sia cominciato lo scaricabarile: perché in qualche modo bisognerà spiegare come mai la Gran Bretagna abbia fatto peggio di tutti gli altri Paesi europei. Ferguson era stato decisivo nel convincere Boris Johnson a imporre il lockdown: senza le chiusure, aveva vaticinato, ci sarebbe stato mezzo milione di morti. Bloccando tutto, il professore prevedeva un danno «limitato» a ventimila vittime. Ora però i conti non tornano, perché i decessi sono più del doppio: e a qualcuno bisognerà pur dare la colpa. Meglio se arrivato da fuori, magari da Paesi giudicati un po’ fetidi.
A Berlino in 3 mila senza mascherina al mega party sull’acqua. Nuovo focolaio a Gottinga dopo due feste editorialista Paolo Valentino Sono bastate due feste in famiglia e l’escursione post party di alcuni gruppi di invitati in un shisha bar, per accendere un focolaio di infezione che ora le autorità tedesche faticano a contenere. È successo più di una settimana fa a Gottinga, celebre città universitaria in Bassa Sassonia, dove 36 persone risultano positive al Covid-19 (una è in condizioni molto gravi) e 310 sono state messe in quarantena per essere state in contatti ravvicinati con loro. Il numero delle persone a rischio è tuttavia molto più alto e per questo prosegue il lavoro di «tracciamento» delle autorità sanitarie del distretto per raggiungere e isolare tutti coloro che hanno partecipato alle due feste o che sono entrati nel locale dove si fuma il narghilè. Se non rispondono all’appello di presentarsi volontariamente, riceveranno un ordine scritto per fare il test ed eventualmente saranno multate.

Secondo la responsabile degli Affari sociali del distretto, Petra Broistedt, i contagi sarebbero avvenuti in primo luogo nelle due riunioni familiari, molto affollate e poi nel locale, dove molti dei partecipanti più giovani hanno deciso di proseguire la serata. Sia in casa che nel bar nessuno avrebbe rispettato le distanze di sicurezza. Il bar era aperto in violazione delle norme in vigore per la pandemia e per questo è stato chiuso fino a nuovo ordine. Il proprietario rischia una grossa multa. Il focolaio di Gottinga non rallenta per ora il piano delle riaperture del governo della Bassa Sassonia, che è uno dei Laender tedeschi più avanti nel ritorno alla normalità.

Preoccupazioni su eccessi, irresponsabilità e violazioni delle norme di sicurezza in questa fase emergono però anche nella capitale tedesca. Erano più di tremila domenica, tutti senza mascherina, i partecipanti a Berlino a una sedicente dimostrazione di protesta, che in Germania vengono subito autorizzate in nome del diritto di manifestazione, ma che in realtà è stata la scusa per un mega party sull’acqua. Di fronte allo spettacolo di migliaia di persone ammassate in barca o sulle rive del Landwehrkanal, un canale artificiale nel cuore di Berlino, la polizia ha chiesto agli organizzatori di porre fine all’evento. (Qui l’articolo completo)
Ecco i veri numeri della recessione: a rischio 1,2 milioni di posti di lavoro editorialista Federico Fubini L’Italia vive oggi sotto l’effetto di un colossale, costosissimo, inevitabile, ingiusto antidolorifico. Quasi tutte le ferite aperte nelle imprese, nelle banche e nei redditi delle famiglie sono state sedate con uno tsunami di sussidi che stanno raggiungendo capillarmente strati vastissimi della società. Il trauma della recessione è attutito dall’effetto potente e diseguale della spesa pubblica, per ora.

Giuseppe Pisauro, presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), calcola che le erogazioni del governo in questi mesi stanno raggiungendo un terzo delle famiglie italiane. Dove arrivano, questi trasferimenti varati nell’emergenza Covid-19 contano per la metà del reddito disponibile prima della crisi, anche se la distribuzione si presenta come l’ennesimo paradosso del welfare. I redditi più alti riescono a intercettare una fetta sorprendentemente larga dei sussidi di emergenza. Secondo l’Upb, sta ricevendo sussidi una ogni quattro del 10% delle famiglie con maggiori entrate nel Paese; la fetta riservata a questi redditi più alti d’Italia (l’8,8% del totale dei trasferimenti) è pari alla fetta dedicata al 10% delle famiglie che guadagnano di meno.

Nella fretta dell’emergenza, forse era inevitabile che l’antidolorifico fosse distribuito in modo non impeccabile. Ma ora la domanda più urgente è un’altra e riguarda il panorama nel Paese quando lo tsunami delle tutele pubbliche si sarà ritirato. Quel giorno non è lontano: le misure di cassa integrazione straordinaria legate alla pandemia sono arrivate a coinvolgere sette milioni di lavoratori – un aumento del tremila per cento sul 2019 – ma sono finanziate solo per nove settimane. Le indennità degli artigiani durano due mesi, così come il reddito di emergenza per chi non ha altre forme di ricavi. Nel frattempo il 17 agosto scade il congelamento per legge dei licenziamenti, mentre filiere vitali e collegate come l’automobile e l’acciaio faticano a ripartire.

Senza nuovi sussidi – che implicano più deficit e più debito – a settembre l’Italia rischia di trovarsi di fronte a un muro di disoccupazione e stress sociale. La Commissione europea stima che quest’anno si perderà «il 5% o più» dell’occupazione esistente, almeno 1,2 milioni di posti. (Qui l’articolo completo)
Cottarelli: “Io commissario per i fondi Ue? Non so se sia utile. Ma l’Italia prenda i soldi del Mes” editorialista Enrico Marro Professor Cottarelli, si dice che lei potrebbe fare il commissario per il Recovery fund. È così?

«Non me lo ha detto nessuno. Quindi credo che non sia vero», risponde l’economista Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani.

Ma sarebbe disponibile?

«Mah, prima tutto bisognerebbe chiedersi se serve un altro commissario, tra l’altro per una cosa che dovrebbe gestire il governo. Insomma, andrebbe capito il ruolo di una eventuale figura del genere».

In ogni caso, che ne pensa della proposta della presidente della commissione Ue, Ursula von der Leyen?

«Che è buona. Rispetto alle crisi 2008-9 e 2011-12 c’è un cambiamento enorme. A parte l’intervento della Bce, ci sono le iniziative dell’Ue che non esistevano dieci anni fa. Il Next generation EU della von der Leyen è un piano importante e innovativo. Certo, bisognerà vedere se verrà approvato e in che misura sarà implementato. Ed è vero che si tratta di risorse che possono essere usate solo dal 2021, ma noi avremo bisogno di importi elevati per molto tempo e questa proposta presenta un vantaggio indubbio per l’Italia, perché questi prestiti arriverebbero a tasso praticamente zero e con scadenza trentennale. Poi una parte sarebbe a fondo perduto, anche se andranno fissate delle tasse europee per ripagare il meccanismo. Insomma, anche se ci sono aspetti da chiarire, la proposta è vantaggiosa per un Paese come l’Italia che prende prestiti a tassi elevati».

Federico Fubini ha spiegato sul “Corriere” che nel 2021 l’Italia potrebbe ricevere al massimo 4 miliardi di finanziamenti e 8 miliardi di prestiti, in tutto lo 0,7% del Pil. Troppo poco e troppo tardi, non crede?

«No. Credo che sia una proposta che si può migliorare, cercando di avere più soldi nel 2021. Ma, ripeto, nel 2022 e negli anni seguenti, non è che l’Italia non avrà bisogno di soldi. Comunque le cifre riportate nella tavola della commissione sono del tutto indicative e le erogazioni ai singoli Paesi dipenderanno molto dalla loro capacità di spesa».

Nel frattempo l’Italia potrebbe chiedere, da luglio, più di 36 miliardi di euro di prestiti dal Mes, il fondo europeo salva Stati, per spese sanitarie. Ma governo e maggioranza sono divisi. Lei cosa farebbe?

«Li prenderei. Il Mes era stato creato per uno scopo diverso, lo sappiamo. Ma ora serve proprio a far arrivare i soldi presto. E sono state date assicurazioni che le parti di supervisione stretta sui bilanci pubblici non verrebbero applicate. Non vedo perché non dovremmo chiedere questi prestiti: 36 miliardi a tassi quasi zero per 10 anni significa per l’Italia risparmiare 500 milioni all’anno, circa 9 volte più di quanto risparmierebbe col taglio dei parlamentari. Tra l’altro, la sorveglianza rafforzata sui bilanci può partire, su iniziativa della commissione, anche senza aver chiesto prestiti al Mes, quindi…». (Qui l’intervista completa)
Centrodestra in piazza tra le polemiche: folla, selfie e poche mascherine image editorialista Paola Di Caro Ci avevano provato Giorgia Meloni e Antonio Tajani ad invitare i rispettivi sostenitori a «restare a casa», perché «ci sarà tempo per scendere in piazza il 4 luglio», ripeteva la leader di Fratelli d’Italia sapendo perfettamente che «se ci saranno assembramenti, non vedranno l’ora di attaccarci, non aspettano altro…».

Ma metti assieme una mattinata di sole, negozi aperti, il centro di Roma che pare un salotto, la marea di giornalisti, cameramen, poliziotti, servizio d’ordine, parlamentari sparsi, tre leader tre che magari voti e se li incontri per strada vuoi non farti un selfie (vedi foto Ansa)? E metti srotolare da piazza del Popolo a Largo dei Lombardi un mega tricolore di 500 metri di lunghezza e buoni 20 di larghezza nella stretta via del Corso e hai un primo risultato: il divieto di assembramento? Crolla politicamente e ufficiosamente il 2 Giugno, nella manifestazione del centrodestra che doveva essere «simbolica» ma che diventa il simbolo dell’impossibilità di osservare regole se c’è un evento.

E così, dalle 10 del mattino, al centro di Roma scatta una sorta di «liberi tutti» di cui tutti diventano protagonisti, intenzionali e no. In piazza del Popolo arriva per primo Tajani, con mascherina di ordinanza, c’è ancora poca gente, in attesa che tocchi a Matteo Salvini e che Giorgia Meloni conceda qualche battuta alle telecamere. Ma ancora non è partito il corteo che scatta il primo allarme: un gruppo di manifestanti di Azione Libera Italia, frangia di Forza Nuova, arrivano armati di slogan duri e vengono allontanati dalla polizia, allertata da Gasparri e La Russa: «Non vogliamo problemi».

Facile a dirsi: qualcuno non ci sta. «I comunisti possono sfilare il 25 aprile col pugno chiuso e io non posso fare il saluto romano?» urla un anziano manifestante. Si fa finta di non sentirlo. (…) Fino a quando un manifestante offende Mattarella e la memoria del fratello ucciso e fa insorgere tutti: da Luigi Di Maio («Parole gravissime, abbassare i toni») al ministro Federico D’Incà, da Romano Prodi al presidente della Camera Fico a quella del Senato Casellati («Questi sono insulti a tutto il Paese»). Così, in serata, si levano a difesa di Mattarella gli stessi promotori della manifestazione. (Qui l’articolo completo)
Il segnale sbagliato della piazza di Roma (e quel “ritardo” di Salvini) editorialista Massimo Franco La compostezza e la serietà della «piazza» di Codogno, stretta intorno a Sergio Mattarella, hanno trasmesso l’impressione di un’Italia unita e consapevole del dramma che stiamo vivendo. Quella «smascherata» e chiassosa di Roma ne ha offerta una diversa, perfino opposta. Ed ha finito per sottolineare non la forza dell’opposizione di destra, il suo «assalto» inesorabile al governo, ma la difficoltà crescente di una proposta alternativa credibile. Gridare «libertà» e invocare elezioni anticipate al più presto sono apparsi slogan sfasati rispetto alla dura realtà post-coronavirus.

E non perché manifestare contro l’esecutivo non sia un diritto sacrosanto, e criticarlo quasi un dovere per chi non ne fa parte. L’ambizione di dare voce all’Italia dimenticata, di incanalare rabbia e paura per le incognite della crisi economica sarebbe, in sé, un obiettivo meritorio. Potrebbe servire anche come pungolo per un esecutivo che esita a trovare una visione comune; e che nei contrasti tra grillini e nelle tensioni tra M5S e Pd e Iv rischia di perdere tempo prezioso invece di approvare e distribuire al più presto gli ingenti aiuti europei. Ma la sensazione è che il disagio non sia né incanalato né governato dall’opposizione. Piuttosto, viene fomentato e usato in una polemica sterile, soprattutto quando rifiuta di ammettere che dall’«esterno», e cioè dall’Europa, ci stanno dando una mano sostanziosa.

In particolare Matteo Salvini, ma anche Giorgia Meloni e Antonio Tajani ieri non sono riusciti ad emanciparsi dal loro cliché, pur essendo cambiato completamente lo sfondo in cui si muovono. Non hanno né intercettato né interiorizzato l’appello del capo dello Stato a misurare polemiche e distinzioni. Si sono lasciati scivolare addosso la solennità di un gesto doppiamente simbolico: lanciato da uno dei paesi lombardi che più hanno sofferto per la pandemia, e nel giorno in cui si festeggia la rinascita della Repubblica.

Il rischio di assumere un profilo che sconfina e quasi si confonde con le piazze dei «gilet arancioni» guidati da improbabili Masanielli di ritorno è reale. E non soltanto perché quella nebulosa di negazionisti del coronavirus, dei vaccini, degli insulti al presidente della Repubblica e alla ragionevolezza, ha manifestato quasi in contemporanea con Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. Gli ultimi due hanno espresso subito solidarietà a Mattarella, seguiti con un lungo attimo di ritardo da Matteo Salvini: a conferma della tentazione di un pezzo, almeno, della destra di dialogarci e magari in prospettiva annetterli, quasi fossero «sardine nere», o meglio arancioni, simmetriche e opposte a quelle anti-Salvini spuntate a Bologna.

Ma sarebbe un azzardo: spalmerebbe una patina di qualunquismo estremista dalla quale l’opposizione dovrebbe guardarsi, per evitare una regressione minoritaria che non onorerebbe i suoi consensi e il suo peso nel Paese. Accogliere gli inviti fermi, convinti del capo dello Stato all’unità significa anche rispettare quella popolazione del Nord che Mattarella ha voluto onorare con la sua presenza. Ignorarli, invece, anche sul piano politico offre alibi a chi, nella maggioranza che vede protagonisti M5S e Pd, predica il dialogo senza praticarlo. (Qui l’editoriale completo)
Mattarella: “Da Codogno riparte l’Italia del coraggio” editorialista Marzio Breda Nella targa al cimitero sotto la quale hanno deposto una corona di rose, la dedica dice: «Il presidente della Repubblica a ricordo dei caduti del Covid 19». Caduti, proprio come sta scritto su infiniti cippi e monumenti d’Italia per ricordare i morti in guerra. Ecco cos’è stata l’epidemia che ha già falciato più di 33 mila vite. È l’unica metafora legata alla retorica militare che Sergio Mattarella si concede nella visita a Codogno, paesone del Basso Lodigiano, per solennizzare il 2 giugno. Il luogo del primo focolaio e della prima «zona rossa» e per questo l’ha scelto come simbolo del dolore e dei lutti provocati dall’epidemia.

Una piccola città martire, Codogno, che il capo dello Stato eleva a rappresentazione del riscatto nazionale. Se ne dice «sicuro», quando arriva in municipio. «Qui oggi, come poche ore fa all’Altare della Patria, è presente l’Italia della solidarietà, della civiltà, del coraggio. In una continuità ideale in cui celebriamo quel che tiene unito il Paese: la sua forza morale. Da qui vogliamo ripartire. Con la più grande speranza per il futuro». Sono parole che completano il suo discorso di lunedì e il messaggio del mattino ai prefetti, quando ha evocato «la forza» e la volontà di «rinascita» del Paese, nonostante le difficoltà di una crisi che «non è finita». E non a caso ammette che si profilano pericoli di disgregazione sociale.

La guerra, perché questa è l’espressione sottintesa, «esige unità, responsabilità e coesione». Ossia quel sentimento prepolitico che matura sull’idea di «condividere un unico destino». Uno «spirito» che rischia di essere minato da «nuove forme di povertà, deprivazione e discriminazione, quando non di odioso sfruttamento». Serve dunque, invece di malposte euforie o ansie di conflitto (come si è visto ieri nelle manifestazioni a Roma), «una paziente attività di mediazione sociale», un ritrovarci insieme «in un impegno che non lasci spazio a polemiche o distinzioni».

Certo, in Lombardia Mattarella non può non rievocare che il Paese sia stato investito da «un fenomeno di inimmaginabile velocità di diffusione, sconosciuto anche alla scienza». E riconosce che chi ha dovuto affrontarlo in vari ruoli, «governo nazionale e amministratori locali» (come il governatore Attilio Fontana, bersaglio di aspre accuse), «ha dovuto procedere spesso per tentativi, di fronte all’imprevedibilità dell’epidemia». Se ne stiamo uscendo, lo dobbiamo alle «migliaia di gesti solidali, coraggiosi, di testimonianze di altruismo e abnegazione nell’aiuto a chi aveva bisogno».

Il presidente ne dà atto a tanti, rilevando come l’Italia abbia dimostrato di avere «un patrimonio morale, spesso sommerso, che va esaltato e messo a frutto». Per onorarlo, in serata si è presentato all’ospedale Spallanzani di Roma, al concerto organizzato dalla Regione Lazio.
Berlusconi: “Unità e dialogo costruttivo per risollevarci come dopo la guerra” editorialista Silvio Berlusconi Caro direttore,
il Capo dello Stato, nel discorso rivolto agli italiani per il 2 giugno, ha fatto riferimento a «qualcosa che viene prima della politica e segna il suo limite (…) l’unità morale, la condivisione di un unico destino, il sentirsi responsabili l’uno dell’altro». Come sempre, il Presidente Mattarella ha saputo trovare le parole giuste.

Del resto già nei giorni scorsi anche il governatore della Banca d’Italia, nelle sue «considerazioni finali» aveva rivolto un appello importante: la fiducia e la speranza nella ripresa dell’Italia, che vengono espresse da tante parti, non possono essere un semplice esercizio retorico, una mera dichiarazione di ottimismo. Esse comportano invece un’assunzione di responsabilità da parte di tutti i soggetti che svolgono un ruolo pubblico, dal mondo dell’impresa e della finanza alle istituzioni, alla società civile. «Serve – ha detto Visco – un nuovo rapporto tra governo, imprese dell’economia reale e della finanza, istituzioni, società civile; possiamo non chiamarlo, come pure è stato suggerito, bisogno di un nuovo “contratto sociale”, ma anche in questa prospettiva serve procedere ad un confronto ordinato e dar vita ad un dialogo costruttivo».

Serve, cioè, un grande scatto, come quello che consentì all’Italia di risollevarsi nel Dopoguerra, di passare in 10 anni dalla condizione di Paese sconfitto e distrutto, a quella di potenza industriale fra i fondatori dell’Europa unita. Oggi come allora, questa assunzione di responsabilità, in un «dialogo costruttivo», riguarda tutte le forze vive del Paese. Il Paese deve essere unito, mettere insieme le migliori energie per sedersi intorno a un tavolo e costruire un progetto comune che guardi al futuro, alla rinascita. Proprio quell’impegno comune per un nuovo inizio che ha sollecitato ieri il Capo dello Stato. Noi ci siamo, come sempre quando è in gioco l’interesse nazionale, il futuro di questo Paese. Mettiamo a disposizione la nostra cultura di governo e di impresa, la nostra esperienza, la nostra competenza, virtù queste troppo sottovalutate in politica negli ultimi anni e che oggi si dimostrano assolutamente necessarie nell’emergenza sanitaria ed economica.

Sono lieto che anche il segretario del Partito Democratico si sia detto disponibile a questo sforzo comune. Uno sforzo – dobbiamo essere molto chiari dal principio – che non ha nulla a che fare con le maggioranze di governo, con gli schieramenti, con le alleanze politiche. (Qui la lettera completa)
L’Uomo Smascherato editorialista Massimo Gramellini Il Salvini, con la folla a portata di sputacchio e la mascherina tricolore a tracolla, che ripete per due volte dentro i microfoni: «La salute prima di tutto!» è un’immagine di ruspante italianità che serberò per sempre nel cuore. Avendo imparato a conoscere l’uomo e la sua predilezione per l’approssimativo, non avevo dubbi che si sarebbe ben guardato dal rispettare le regole sanitarie imposte ai comuni mortali. Ero però incerto sulle motivazioni che avrebbe addotto per giustificare i suoi atteggiamenti da aperitivista della movida, i selfie a distanza di insicurezza e il perenne saliscendi della protezione facciale. Immaginavo che avrebbe tirato in ballo qualche complotto ordito dall’Europa con la complicità della feroce setta di Virology. Invece ha risposto che abbassava la mascherina all’altezza della pappagorgia perché «gli esperti dicono che il virus sta morendo».

In realtà altri esperti sostengono il contrario. Ma Salvini ha ancora il polso, o almeno il polsino, del Paese reale e sa che ogni italiano ha adottato uno scienziato di fiducia, o parti di esso, che utilizza in base alle proprie necessità. Gli ipocondriaci indossano Locatelli e Burioni, mentre i lassisti ultimamente vestono Zangrillo. Il quale però, forse subodorando la ressa di leghisti slegati e fratelli d’Italia nell’alito affratellati, si era premurato di precisare che le mascherine vanno sempre messe e le distanze rispettate. Gli è andata ancora bene che non gli abbiano dato del venduto.(Qui la raccolta dei «Caffè»)

(Nella foto di apertura, controlli della polizia sulla spiaggia palermitana di Mondello: lo scatto è di Alberto Lobianco per Imagoeconomica. A domani!)
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